Vernon God Little by DBC Pierre

Vernon God Little by DBC Pierre

autore:DBC Pierre [Pierre, DBC]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-12-15T07:44:13+00:00


Aiai-iai-iaiai, Lu-pita! Aia-iai-iai-iaiai…

La radio gracchia queste canzoni mentre viaggiamo verso sud, io, Pelayo, suo figlio e Jesus il Messicano Morto. «Un autentico guazzabuglio», per dirla con quel bastardo del signor Nuckles. Vi cachereste sotto dal ridere a sentire la musica locale: polke belle cazzute con chitarra, basso e fisarmonica, e tutti questi tizi che cantano in coro: Aia-iai-iai-iaiai eccetera. E i break pubblicitari sono ancora meglio. Gli annunci li urlano con l’eco, come se stessero lanciando un incontro di boxe. Seduto sul camion come Dio sul trono, sbircio la fessura tra il cruscotto adibito a santuario della Vergine e la tendina con i mini palloni da calcio penzolanti dalle frange. Sto facendo un gioco col figlio di Pelayo. Si chiama Lucas. Appena lo guardo, lui si gira subito dall’altra parte. Per cui lo controllo con la coda dell’occhio, gli faccio credere che sposterò lo sguardo piano piano, finché non si abitua a questo schema. Dopodiché accorcio i tempi e, tana!, lo colgo di sorpresa. Diventa rosso come un peperone, e seppellisce la faccia nella spalla. Non so perché, ma mi salgono le ondate a fare questo giochetto, davvero, sento le farfalle nello stomaco. Intendiamoci, sempre un figlio di puttana resto. Non sono mica passato all’altra sponda. Ma, sinceramente, è tipo una di quelle Cose Semplici della Vita di cui la gente parla sempre, ma non capisci mai che cazzo significano. Ve lo immaginate un ragazzino di dieci anni delle mie parti che fa così? Non credo proprio, cazzo. Avrebbe già pronta qualche parolaccia, casomai ti venisse in mente di guardarlo.

Ci inoltriamo nelle viscere del Messico, oltre Matehaula e San Luis Potosì, dove il panorama diventa più verde e si mischia al mio doposbronza intrecciando sogni sfocati, su Martirio, su Taylor. Provo a scostare i fili di seta, i tentacoli del polipo, che mandano lampi viola e rossi, spruzzando miele e spray al profumo di donna, per rinfrescare l’imbottitura dei miei pensieri ammuffiti, i pensieri alla lavanda che tutti i giorni mi vengono sui morti. Pensieri tanto enormi da non strapparmi nemmeno un brivido, pensieri che stanno lì fermi, e lì resteranno in eterno, come il raso che fodera una bara. I pensieri si combinano all’arrampicata verso Città del Messico, portando le voci di tutte le persone che conosco, in lacrime dietro le porte a zanzariera: «Siamo distrutti, distrutti, distrutti, il telegiornale della notte, il notiziario della noot-te, il Necrologio della Notte…» finché immagino un vortice putrido e nero, che mi insegue per i cieli spumosi di bile travolgendo tutti gli Stati, intere nazioni, cazzo, solo per squarciarmi lo stomaco, strapparmi le budella ancora pulsanti e mettersele sotto i piedi, sotto gli speroni, come un covo di serpenti a sonagli: «Prendilo là quel bastardo! Calpestalo! Fallo a pezzi, si sta ancora muovendo!»

Vernon Godzilla Little.

È mezzanotte, e in questo straniero venerdì di giugno sono scosso da un brivido perenne. Lascio la mia carne e le mie ossa a nord di Città del Messico, spinto verso sud a forza di nervi. La pelle rischiamo di lasciarcela soltanto una dozzina di volte.



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